Introduzione
La preservazione della vitalità pulpare negli elementi dentari permanenti si può considerare una delle principali sfide dell’odontoiatria moderna, benchè la sua origine non sia recente. La terapia della polpa vitale ha lo scopo di mantenere la polpa dentale viva e funzionale, soprattutto nei pazienti giovani o in presenza di radici in via di sviluppo o in casi dove il danno pulpare non sembri risultare irreversibile, a seguito di processi cariosi, traumi o procedure restaurative. È un approccio conservativo molto attuale, promosso anche dalle Linee Guida più recenti, e può includere diverse strategie a seconda della profondità del danno e riflette una tendenza ormai consolidata verso un approccio minimamente invasivo e biologicamente conservativo. Procedure come l’incappucciamento diretto e la pulpotomia camerale (parziale o totale) rappresentano oggi opportunità terapeutiche nella pratica clinica. Naturalmente, non tutto è applicabile indistintamente: il successo dipende dalla corretta selezione del caso, da un isolamento assoluto del campo operatorio, dall’uso di ingrandimenti, da protocolli di disinfezione accurati e dalla scelta di materiali adeguati.
Perché la polpa è un tessuto da salvaguardare laddove possibile?
La polpa svolge due funzioni importanti, non limitandosi al solo ruolo di trasmettitore degli stimoli nocicettivi. La prima funzione trova la massima importanza nello sviluppo radicolare dei denti in formazione. Gli odontoblasti, localizzati nello strato periferico della polpa, insieme alla guaina di Hertwig, contribuiscono all’ispessimento e allungamento del corpo radicolare. Laddove la vitalità pulpare venga persa prima del completo sviluppo radicolare, il dente presenterà una struttura radicolare più corta che potrà incidere nel rapporto corona-radice di scarico delle forze occlusali. Inoltre le pareti radicolari saranno più sottili e potenzialmente più soggette a incrinature e/o fratture. Inoltre il trattamento endodontico di un dente con radice a formazione incompleta presenta molteplici difficoltà aggiuntive: la gestione di un apice beante con tutti i rischi connessi, quali aumentato rischio di estrusione di irriganti, iperestensione di materiale da otturazione, difficoltà di sviluppo di una tronco-conicità corretta per le chiusure con guttaperca riscaldata e rischio di formazione di incrinature dentinali radicolari in seguito all’applicazione di pressione con plugger o carrier per lo sviluppo di forze laterali di condensazione della guttaperca riscaldata.
Alla funzione di dentinogenesi radicolare, la polpa affianca una funzione immunitaria e di rallentamento della progressione batterica. Il fluido dentinale, prodotto dagli odontoblasti nella polpa, diluisce le tossine batteriche e rallenta l’avanzamento batterico attraverso i tubuli dentinali. Inoltre è possibile osservare varie linee cellulari native stanziali nel tessuto pulpare, quali cellule dendritiche, macrofagi, linfociti CD8+, linfociti CD4+, evidenziando le funzioni protettive della polpa. Al mantenimento di tali funzioni, si aggiungono poi valutazioni cliniche che riguardano il risparmio di struttura dentale. E’ oramai ben risaputo come, soprattutto per gli elementi diatorici, il trattamento endodontico comporti una riduzione di resistenza bio-meccanica derivante dalla asportazione di struttura dentale per accedere e sagomare lo spazio endodontico. Sebbene i nuovi strumenti a conicità ridotta, i nuovi materiali da restauro e la maggior conoscenza dei siti anatomici da preservare come le creste marginali o la zona dentinale pericervicale, consentano di ridurre al minimo il costo biologico del trattamento endodontico, risulta evidente che un dente trattato endodonticamente risulti più esposto alla frattura verticale di radice, specie se eseguito in giovane età. considerato l‘incremento di aspettativa della vita media.
Quali parametri vanno presi in considerazione per le tecniche di mantenimento della vitalità pulpare?
Le esposizioni pulpari possono avvenire in presenza di carie profonda, traumi dell’elemento dentario, preparazioni protesiche, specie con correzione del parallelismo del moncone. Una fondamentale valutazione pre-operatoria è se l’esposizione è avvenuta in dentina sana, in seguito a un trauma o a una preparazione protesica, o in dentina infetta come in una carie profonda.
Tale differenza determina valutazioni sulla contaminazione della polpa e i sintomi e segni infiammatori correlati. Un’esposizione in dentina sana, come conseguente a un trauma, entro le 24 ore comporta una contaminazione potenziale superficiale. In caso di esposizioni in dentina infetta, con verosimile contaminazione antecedente all‘esposizione, la polpa presenta segni e sintomi di infiammazione variegati. Tali sintomi e segni sono comunque dei segni predittivi deboli sulle condizioni della polpa e sulla sua possibile risposta positiva alle terapie di mantenimento. Il segno clinico più sfavorevole al mantenimento della vitalità pulpare è il sanguinamento non arrestabile e massivo, segno di un quadro infiammatorio che indirizza verso la necessità di un trattamento endodontico. Altro parametro da considerare è l’età del paziente, correlata alla vascolarizzazione e cellularità della polpa coinvolta. Minore l’età del paziente, maggiori saranno le capacità di guarigione e di successo delle tecniche di mantenimento della vitalità pulpare. In una valutazione prognostica circa le possibilità di successo andrà valutata anche la dimensione dell’esposizione in rapporto al volume totale della polpa camerale. Piccole esposizioni rapportate ad un ampio volume pulpare saranno maggiormente favorevoli al successo della terapia.
In caso di carie profonda, il problema clinico principale è la definizione dell’area pulpare contaminata dai batteri. La pulpotomia camerale parziale o totale risulta indicata solo nel caso in cui il fronte batterico non abbia raggiunto la polpa canalare. Tuttavia, clinicamente è impossibile definire l’estensione della diffusione batterica nel tessuto pulpare.
In caso di trauma, va considerato il tempo dell’esposizione pulpare coronale all’ambiente orale, una lunga esposizione aumenta il rischio di contaminazione e quindi la possibilità di successo nel mantenimento della vitalità pulpare.
In caso di minima esposizione durante la preparazione protesica di un dente sano, il mantenimento della vitalità potrebbe essere preso in considerazione, ma il tempo di alcuni mesi richiesto per l’evidenza radiografica della barriera dentinale potrebbe risultare incompatibile con la finalizzazione protesica.
Quali materiali utilizzare per l’incappucciamento pulpare?
Il materiale storicamente e maggiormente utilizzato è l’idrossido di calcio, che causando una necrosi pulpare superficiale e una decontaminazione per basificazione, consente il successivo processo di guarigione con la formazione di un tessuto calcifico simil-dentinale denominato ponte dentinale interposto tra il materiale e la polpa. Tale materiale presenta tuttavia alcuni problemi tecnici da tenere clinicamente in considerazione: l’idrossido non ha adesione con la dentina, pertanto la perdita del sigillo coronale del restauro può determinare una ricontaminazione dello spazio pulpare esposto e una solubilizzazione dell’idrossido stesso. Sono state proposte negli anni varie soluzioni quali materiali da apporre a protezione sopra lo strato di idrossido, come i cementi vetroionomerici. Inoltre il ponte dentinale prodotto dall’idrossido può presentare dei difetti a tunnel, che possono favorire una nuova ricontaminazione dello spazio pulpare a distanza di tempo, sempre laddove venga perso il sigillo coronale.
All’idrossido si affiancano oggi altri materiali che dimostrano maggior efficienza clinica, come i cementi idraulici calcio-silicati (MTA, Biodentine, nuove formulazioni premiscelate putty). Nella loro reazione di presa, sfruttando la stessa umidità della polpa, liberano idrossido di calcio, basificando il sistema con attività battericida, e silicato idrato di calcio. Gli ioni calcio rilasciati si legano ai fosfati della dentina producendo fosfato di calcio, un precursore dell’apatite che consente un legame chimico tra il materiale e la dentina circostante. Zaffi di mineralizzazione intratubulare consentono anche un legame micromeccanico. Tali materiali, rispetto al classico idrossido di calcio, sembrano determinare una minore infiammazione pulpare, un ponte dentinale maggiormente compatto e un’adesione chimica e micromeccanica alla dentina circostante l’esposizione. Rispetto all’idrossido possono essere sottoposti a tecniche di adesione e alla successiva ricopertura con materiali compositi. La predicibilità clinica dei cementi bioceramici ha permesso di riportare percentuali di successo superiori all’80% a 3 anni, anche in casi sintomatici, quando trattati secondo criteri clinici adeguati.
Come effettuare la procedura clinica?
Fatte le opportune valutazioni preoperatorie circa la diagnosi pulpare e la possibile prognosi, il primo passaggio è l’isolamento del campo operatorio, uno dei fattori prognostici più importanti nella buona riuscita della tecnica, superiore al tipo di materiale utilizzato. Si suggerisce la rimozione del tessuto dentinale infetto con strumenti manuali, allo scopo di non rischiare di diffondere batteri e detriti infetti nella polpa per l’azione centrifuga degli strumenti rotanti.
Passaggio successivo è il controllo dell’emostasi della ferita pulpare. Tra i vari prodotti descritti in letteratura con cui imbibire un pellet di cotone sterile, vengono menzionati soluzione fisiologica, anestetico con vasocostrittore e ipoclorito di sodio al 5%. Sebbene l’ipoclorito sia largamente efficace nella proteolisi dei tessuti necrotici, svolge una quasi nulla azione sui tessuti irrorati mantenendo la sola azione disinfettante e di emostasi senza danneggiare il tessuto pulpare. In letteratura vengono considerati 5 minuti come tempo massimo per ottenere l’emostasi della ferita, al di sopra dei quali il sanguinamento non arrestabile va clinicamente associato a un quadro pulpitico irreversibile e quindi destinato alla pulpectomia totale.
Ottenuta l’emostasi si posiziona il materiale da incappucciamento per apposizione, senza spingerlo all’interno dell‘esposizione. E‘ descritta la possibilità di una pulpotomia parziale a livello dell’esposizione per 1-2 mm di profondità allo scopo di creare un pozzetto ritentivo per il materiale e di eliminare una porzione superficiale di polpa contaminata. Tale passaggio va eseguito con fresa diamantata con irrigazione possibilmente sterile. Le fasi successive seguono diverse possibilità: dalla copertura del materiale con un materiale da sottofondo a protezione e poi il restauro coronale provvisorio allo scopo di controllare l’avvenuto indurimento del materiale da incappucciamento, seguito quanto prima da un restauro definitivo, o alla copertura diretta con un restauro definitivo immediato. Gli elementi sottoposti a terapia della polpa vitale vanno poi monitorati nel breve e nel lungo periodo per a) verificare il mantenimento della vitalità con i test di sensitività, b) valutare l’insorgenza di sintomi, o la loro scomparsa dopo terapia, e una normale funzionalità del dente, c) l’osservazione radiografica dell’eventuale maturazione radicolare nei denti immaturi e l‘assenza di comparsa di radiotrasparenze periapicali.
Tuttavia, restano criticità importanti che vanno riconosciute e affrontate con consapevolezza. Prima fra tutte, la diagnosi differenziale tra pulpite reversibile e irreversibile, basata spesso su criteri clinici non sempre oggettivi. Infatti, per i casi che presentano forme di patologie pulpari severe con dolore spontaneo o costante, l’ESE raccomanda che “l’esposizione cariosa con sintomi indicativi di pulpite irreversibile dovrebbe essere trattata in modo asettico con pulpectomia”. In alternativa, la pulpotomia può avere successo nei casi in cui sia presente una pulpite irreversibile parziale limitata alla polpa coronale. L’ESE sottolinea infine la necessità di disporre di un maggior numero di studi prospettici randomizzati a lungo termine per definire indicazioni più precise. Anche l’American Association of Endodontists (AAE) ha preso posizione sul tema della terapia della polpa vitale, seppur con un atteggiamento più cauto, sottolineando l’importanza della completa eliminazione del tessuto dentinale infetto come elemento fondamentale per il successo della terapia stessa. È degno di nota che l’AAE includa anche le polpe sintomatiche tra le potenziali candidate alla terapia della polpa vitale, purché accuratamente selezionate, anche sulla base dell’osservazione diretta del tessuto pulpare durante e dopo il raggiungimento dell’emostasi. L’AAE sottolinea inoltre la necessità di disporre di ulteriori evidenze cliniche robuste e a lungo termine, al fine di consolidare protocolli terapeutici predicibili.
In conclusione, nonostante le criticità e i livelli di evidenza che necessitano di essere ulteriormente comprovati, i clinici dovrebbero prendere in considerazione il mantenimento della vitalità pulpare come una possibile opzione terapeutica, se eseguita secondo il rigido protocollo. La terapia della polpa vitale non è più una procedura da riservare a pochi casi selezionati, ma un’opzione concreta nella gestione delle carie profonde, delle esposizioni pulpari accidentali o traumatiche e, in casi selezionati, anche in presenza di segni e sintomi compatibili con pulpiti inizialmente classificate come irreversibili. La letteratura scientifica supporta l’uso della terapia della vitalità pulpare come approccio conservativo efficace per mantenere la salute pulpare e la funzione del dente, allo scopo di ridurre la necessità di trattamenti più invasivi, specie nei soggetti più giovani.
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